Scrivere non è solo tracciare segni su un foglio: è un gesto che accompagna l’umanità da millenni. Molto prima della penna a sfera, i primi “strumenti di scrittura” erano ben diversi da quelli che conosciamo oggi.
I Sumeri, intorno al 3500 a.C., furono tra i primi a trasformare la comunicazione in un sistema codificato e permanente. Scrivevano su tavolette di argilla umida, incidendo segni cuneiformi con stili di canna o legno dalla caratteristica punta triangolare.
La scrittura era un’incisione, non un tracciato: ogni segno veniva “impresso” nell’argilla con pressione, richiedendo abilità e velocità prima che la superficie si indurisse. Questa tecnica, pur rudimentale, diede vita a uno dei sistemi di scrittura più longevi della storia, largamente utilizzato per questioni amministrative, contabilità, astronomia e narrazione.
Tra le tavolette ritrovate, una spicca come testimonianza sorprendentemente moderna. È la famosa tavoletta di reclamo a Ea-nasir, risalente al 1750 a.C., che contiene la protesta di un cliente, Nanni, indirizzata a un mercante di nome Ea-nāṣir. Nanni si lamenta per la scarsa qualità del rame ricevuto e per la mancanza di rispetto del fornitore, di fatto, il primo "reclamo commerciale" di cui si ha traccia nella storia. Il messaggio, inciso con gli stessi stili usati per il cuneiforme, dimostra quanto la scrittura fosse già allora uno strumento di comunicazione pratica, commerciale e… sorprendentemente umano.
Qualche secolo dopo, gli Egizi evolsero il modo di scrivere introducendo strumenti molto più vicini all’idea moderna di penna. Utilizzavano giunchi e cannucce vuote tagliati a punta che, immersi in un inchiostro a base di carbone, acqua e resine, permettevano un tratto continuo sul papiro, un materiale leggero, arrotolabile e incredibilmente resistente per l’epoca. Questa innovazione rese la scrittura più fluida e rapida, favorendo la nascita di forme scrittorie come lo ieratico, usato dagli scribi per testi religiosi e amministrativi.
Gli scribi erano così rispettati che erano esentati dai lavori manuali e considerati parte dell’élite amministrativa. Si diceva che avessero “le mani pulite”, simbolo del loro status. Alcuni testi scolastici dell’epoca includono perfino esercizi di scrittura che sono lamentele dei maestri, arrabbiati perché gli studenti non tenevano bene il giunco o non diluivano correttamente l’inchiostro.
Con i Greci la scrittura compie un salto decisivo: si diffonde un alfabeto fonetico più semplice dei complessi sistemi pittografici e cuneiformi, che rende più facile annotare leggi, conti e opere letterarie. Gli scribi utilizzano soprattutto calami di canna o giunco, tagliati in punta e intinti in un inchiostro ottenuto da fuliggine, acqua e gomme vegetali. Il supporto più prestigioso è il papiro, importato dall’Egitto, usato per rotoli e testi destinati a durare, mentre per appunti e esercizi si impiegano tavolette cerate, riscrivibili, e i celebri frammenti di ceramica, gli ostraka.
I Romani ereditano molto dal mondo greco, ma trasformano la scrittura in un vero strumento di governo e amministrazione. Nella vita quotidiana si usano le tabulae ceratae, tavolette di legno ricoperte di cera su cui si scrive con lo stilus, un utensile a due estremità che ricorda la moderna "matita con gomma": punta affilata per incidere e parte piatta per “cancellare” livellando la cera. Per documenti più duraturi venivano utilizzati i calami di canna e l’inchiostro a base di nero fumo, stesi su papiro o, sempre più spesso, su pergamena. Quest’ultima, robusta e flessibile, permette di abbandonare il rotolo e passare al codice, il formato “a libro” fatto di fogli piegati e cuciti: una vera rivoluzione nella storia dei supporti di scrittura.
Dopo l’epoca romana, tra Tardo Antico e Medioevo, gli strumenti di scrittura si evolvono fino a trovare un nuovo protagonista: la penna d’oca. A partire all’incirca dal VI–VII secolo, i monaci copisti negli scriptoria (laboratori di scrittura dei monasteri, dove i monaci copiavano e decoravano a mano libri e manoscritti) iniziano a sostituire i calami di canna con penne ricavate dalle grandi piume delle oche (o in alternativa di cigno o tacchino). Queste penne, indurite al fuoco e tagliate in punta con coltelli specifici (i coltelli da penna), offrivano un tratto più preciso e flessibile, ideale per le scritture gotiche e per i manoscritti miniati su pergamena. Il pennino naturale poteva essere sagomato in modi diversi per ottenere linee sottili o spesse, diventando lo strumento perfetto per testi, titoli decorativi e iniziali ornate: una vera rivoluzione nella storia delle “penne” prima dell’era industriale. Nonostante i progressi tecnici, una buona penna d’oca durava soltanto poche ore di lavoro intenso: gli amanuensi passavano gran parte del tempo ad affilare, sagomare e sostituire le penne per mantenere un tratto pulito e regolare. Queste penne richiedevano abilità e manutenzione, ma hanno accompagnato la copia di manoscritti, documenti ufficiali e opere letterarie per secoli, aprendo la strada alle penne successive.
Tra Rinascimento ed Età Moderna la scrittura vive una trasformazione profonda. L’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg (metà del XV secolo) accelera la produzione di libri, favorendo un aumento costante dell’alfabetizzazione in tutta Europa. Più persone iniziano a leggere e scrivere, e questo richiede strumenti più veloci, pratici e duraturi rispetto alla penna d’oca tradizionale.
È in questo contesto che artigiani, orafi e inventori cominciano a sperimentare punte metalliche, molto più resistenti. I primi esempi di pennini in metallo compaiono già nel XV secolo, ma è tra XVII e XVIII secolo che si diffondono davvero, alimentati dalla crescita del commercio, della burocrazia e delle scienze. I pennini erano realizzati in argento, ottone o acciaio temprato e montati su fusti simili a quelli delle penne d’oca, diventando gli antenati delle future penne a immersione. Questo passaggio segna una svolta nella storia della scrittura: il tratto diventa più regolare e omogeneo, la manutenzione si riduce e lo strumento diventa finalmente adatto all’uso quotidiano e professionale.
Con l’inizio dell’Ottocento la scrittura entra definitivamente nell’epoca moderna. La Rivoluzione Industriale permette di produrre pennini in acciaio in modo standardizzato, economico e preciso. Nascono così le penne a immersione (dip pen), composte da un fusto (spesso in legno o ebanite) e un pennino metallico intercambiabile. A differenza delle penne d’oca, queste non si consumavano rapidamente e garantivano un tratto molto regolare, intingendo la punta nell’inchiostro ogni poche parole. Nel giro di qualche decennio, queste penne diventano lo strumento preferito da impiegati, scrivani, commercianti, artisti e calligrafi. L’ampia disponibilità di pennini specializzati (flessibili, rigidi, a punta fine o larga) rende la scrittura più espressiva e personalizzabile, preparando il terreno alla successiva grande rivoluzione: la penna stilografica.
A partire dalla metà del XIX secolo, gli inventori di tutta Europa cercano un modo per eliminare la necessità di intingere continuamente la penna nell’inchiostro. Il risultato è la penna stilografica, dotata di un piccolo serbatoio interno e di un sistema di alimentazione che fa scorrere l’inchiostro in modo continuo fino al pennino.
Dopo l’era delle penne a immersione dell’Ottocento, la sfida diventa chiara: rendere la scrittura continua, senza dover intingere il pennino ogni poche righe. Il primo passo decisivo arriva nel 1827, quando l’inventore rumeno Petrache Poenaru ottiene in Francia un brevetto per una penna con serbatoio interno, definita “piuma portatile, inesauribile e autoalimentata”. È considerata uno dei primi veri prototipi di penna stilografica moderna.
Le prime versioni erano instabili e spesso “perdevano”, ma nel 1884 l’inventore americano Lewis Waterman rivoluziona il settore introducendo un efficace sistema di alimentazione a capillarità. Da quel momento la stilografica diventa uno strumento affidabile, elegante e perfetto per l’uso quotidiano. Realizzata in ebanite, oro, acciaio o celluloide, diventa simbolo di prestigio e compagna indispensabile di scrittori, avvocati e uomini d’affari per oltre mezzo secolo. Si racconta che Waterman progettò la sua penna dopo aver perso un contratto importante perché la sua vecchia penna aveva lasciato una grossa macchia d’inchiostro sul documento. Ancora oggi il fascino della stilografica non è scomparso: ancora oggi le stilografiche di pregio, come le penne Waterman personalizzate con logo, sono scelte da aziende e professionisti che vogliono unire eleganza, scrittura fluida e visibilità del proprio brand.
La storia della penna a sfera inizia nel 1888, quando l’americano John J. Loud ottiene il primo brevetto per una penna dotata di una piccola sfera rotante in metallo. Loud non cercava uno strumento per scrivere su carta: il suo obiettivo era trovare il modo di scrivere su superfici difficili come il cuoio, dove le stilografiche non funzionavano.
La penna di Loud prevede già il concetto della moderna penna a sfera: una sfera d’acciaio che ruota, preleva l’inchiostro dal serbatoio interno e lo deposita sulla superficie. Tuttavia il suo prototipo risultò troppo ingombrante per la scrittura quotidiana, dal momento che produceva un tratto irregolare e presentava frequenti problemi di scorrimento. Per questo il brevetto non trovò applicazione commerciale e finì per decadere. Nonostante i limiti, rappresentava il primo passo vero verso l’invenzione moderna.
Il vero padre della moderna penna a sfera è il giornalista ungherese László Bíró. Stanco delle stilografiche che macchiavano, asciugavano lentamente e rovinanavano i taccuini, Bíró cercò una soluzione più pratica. L’intuizione arrivò osservando dei bambini giocare con biglie in strada: quando le biglie attraversavano una pozzanghera, lasciavano una scia uniforme. L’idea è semplice e rivoluzionaria: usare una sfera rotante per distribuire un inchiostro denso e ad asciugatura rapida, simile a quello usato nella stampa dei quotidiani.
Per trasformare l’intuizione in un prodotto reale, Bíró coinvolge il fratello György (George) Bíró, chimico. Insieme svilupparono un inchiostro più viscoso, una punta metallica robusta e una sfera capace di ruotare senza perdite. Nel 1938 László Bíró depositava in Gran Bretagna il brevetto della prima penna a sfera realmente funzionale.
Con l’avanzare del nazismo in Europa, Bíró (di origine ebraica) lascia l’Europa e si trasferisce in Argentina, dove continua a perfezionare la sua penna. Qui fonda, insieme a nuovi soci, un’azienda che commercializza il prodotto con il nome “Birome” (unione di Bíró + Meyne, uno dei partner). In Argentina “birome” è tuttora sinonimo di penna a sfera.
La produzione cresce rapidamente e la qualità migliora: le nuove versioni sono più robuste, affidabili e adatte sia all’uso scolastico sia a quello professionale. La penna di Bíró inizia a diffondersi a livello internazionale, attirando l’attenzione di governi e industrie.
Durante la Seconda guerra mondiale, la Royal Air Force britannica adotta la penna di Bíró, dal momento che le stilografiche tradizionali perdevano inchiostro ad alta quota a causa della pressione, mentre la penna a sfera funzionava in modo affidabile anche a notevoli altitudini. L’esercito la utilizzava per mappe, appunti e documentazione tecnica: è un passaggio chiave che trasforma una semplice innovazione in uno strumento strategico.
Dopo la guerra, la penna a sfera esplode commercialmente: economica, pratica, robusta e capace di scrivere quasi ovunque, diventa in pochi anni l’oggetto di scrittura più diffuso al mondo. È a questo punto che marchi come Bic e altri colossi internazionali ne standardizzano la produzione, rendendola accessibile a tutti.
Una penna a sfera è composta da:
Punta: realizzata in ottone, in alpacca, in plastica o in acciaio e al suo interno vi è una piccola sfera metallica, che rimane libera di ruotare e che consente di trasferire l’inchiostro sulla carta, oltre che a controllarne il flusso.
Serbatoio: contenente l’inchiostro viscoso in grado di sporcare l’estremità della sfera ruotante che, per trascinamento, lo rilascia sul foglio. L'inchiostro può essere di diversi colori e la sua caratteristica principale è quella di asciugarsi quasi immediatamente al contatto con la carta.
Fusto: è il corpo della penna, la parte di maggiore dimensione, al cui interno si trovano principalmente un tubo di plastica, che contiene l'inchiostro, e una molla, se il meccanismo della penna è a scatto.
Le penne a sfera si dividono in due tipi:
A cappuccio, le classiche stick pen, che hanno il tappo, una protezione per l’inchiostro staccabile dalla punta come avviene nelle stilografiche;
Automatiche, dotate di un meccanismo che fa entrare e uscire la punta; questo meccanismo di fuoriuscita del refill (la ricarica) può essere a scatto o a rotazione.
Il meccanismo a scatto, o pressione, è quello più popolare. Con un semplice clic nella parte opposta alla punta, grazie ad una molla all’interno del fusto della penna, si può estendere o ritrarre la cartuccia d’inchiostro.
Il nostro viaggio attraverso la storia della penna a sfera si conclude con la sua veste più attuale: quella di oggetto promozionale, scelto da aziende di ogni settore per raccontare la propria identità in modo semplice ma efficace. La penna è rimasta fedele alla sua essenza, scrivere, tracciare, comunicare, ma ha assunto un nuovo significato. Personalizzata con un logo o un messaggio, diventa un piccolo simbolo di presenza, capace di accompagnare gesti quotidiani e, allo stesso tempo, lasciare un ricordo concreto di chi l’ha donata. Oggi, le aziende scelgono di usare penne pubblicitarie non solo per la loro praticità o economicità, ma perché:
trasmettono cura e attenzione ai dettagli.
sono utili, discrete e sempre ben accolte.
si adattano a ogni occasione, dalle fiere ai welcome kit, dai meeting alle campagne interne.
In un’epoca in cui i messaggi si perdono in una notifica, una penna riporta la comunicazione alla sua forma più autentica: scrivere per lasciare il segno. È un oggetto silenzioso, ma eloquente, capace di raccontare un brand senza bisogno di parole.
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